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Recensione "Il borgo dei quadri" di Franco Basile

Arroccata in un punto dove la strada s'inerpica fino a una specie di isolotto aereo, la casa di Jovonne domina lontananze che si dilatano tra i monti fino a toccare i limiti delle apparenze. Con i colori la pittrice racconta quello che vede e che sente tenendosi a muta distanza da ciò che sa di codifica del vero. Usa una tavolozza chiara dagli accordi intimisti, prende accordi con una scrittura d'ispirazione spontaneo-primitivista per una trascrizione intensamente emotiva e tendenzialmente sensoriale di ciò che la colpisce. Jvonne vive in un borgo chiamato Le Selve dove il gioco della luce tra gli alberi lascia nel vago ogni determinazione cronologica, un luogo dove i ricordi prendono il sole ai margini di un castagneto, dove i pensieri dipanano nel verde la cifra dell'enigma che annuncia ogni crepuscolo.

 

Per l'artista la vita ha i granuli rosa-pallido di certi sogni o il grigio-azzurro di un corso d'acqua che scivola sul lato romantico del tempo. Divoratrice di silenzi, a volte passa intere giornate nello studio a misurare il filo che unisce l'aurora al tramonto, come dire, l'inizio e la fine delle cose. Attorno a lei i quadri sono tasselli di un calendario senza scadenze precise, sono segnali di emozioni al portatore mentre affetti e suggestioni si consegnano alla mente sospinti da una forza elementare, istintiva, qualcosa che si coniuga alla tela con gli accenti della genuinità. Estranea ai canoni dello svolgimento artistico istituzionale, mutua il proprio repertorio da situazioni che paiono uscite dal laboratorio dell'immaginazione. Un candore lirico si potrebbe dire, un insieme dove spirito e sentimentalismo costituiscono il tessuto di tante esecuzioni. A volte il suo mondo appare dettato da uno stordimento di ciò che l'appassiona e che ama far decantare nel cuore fino a declinare l'impatto emotivo con la semplicità di chi riesce ad evitare gli stereotipi figurativi: il gesto di Jvonne deriva da un istinto che permette di superare caratterizzazione e tipizzazione linguistica. Con lo svolgersi dei temi che l'ispirano il lavoro si fa così almanacco del sentimento, intimo riporto di rarefatte visioni di un mondo che diventa personale nella stesura cromatica: i quadri appartengono a un universo fatto di leggerezze che non si trattengono con una mano, che non si tengono, ma che si ricordano.

Il pugno di case di questo villaggio aereo è una delle tante propaggini sassose di una terra frequentata da anni da molti artisti. Le Selve è a poca distanza da Monzuno, quasi un fiabesco controcanto dell'assorto ritiro morandiano che nell'osservazione sfuma lontano, con la vista che si spinge fino alle balze di Grizzana, quella località che ancora oggi determina ideali contatti tra le valli, tra la spianata dominata dai fienili del Campiaro – soggetti più volte ripresi dall'appartato artista di via Fondazza - e il luogo dove hanno trascorso intere stagioni artisti come Nino Bertocchi, Lea Colliva, Ilario Rossi, Giuseppe Gagliardi, quest'ultimo longevo relatore di stupite aurore nonchè trascrittore di febbricitanti tramonti, quindi relatore di velati mattini e di vermigli abbandoni al di là dei boschi. Gagliardi s'era creato un lucente avamposto sulle valli, un piccolo fortilizio piantato al vertice di una montagnola di Trasasso dove a sera interveniva con gli occhi alla festa delle luci dei casolari che facevano da corona ai piccoli centri. Anche lo studio di Jvonne è un osservatorio sulle valli, e sul tempo che rende la realtà una copia reinventata di se stessa. Jvonne si appoggia alla memoria, svolge il calcolo della vita lanciando lo sguardo al di là di una finestra. Fuori la luce è una lastra che nel prendere accordi con le ombre assume compiti precisi, all'interno luci e colori rimbalzano invece sui muri, filtrano tra le fenditure, si stiracchiano verso l'alto fino ad appoggiarsi ai limiti della vista, come un ciondolo applicato alle palpebre della memoria.

Per Jvonne la realtà è anche sogno, come se le cose fossero legate a uno spaesamento sottile capace di indurre alla costruzione di tavole sospese in una dimensione atemporale. L'artista guarda al di là dei monti e pensa all'infinito, il silenzio è rotto di tanto in tanto dal suono di una campana, nel vecchio borgo i giorni formano una processione che si snoda da una casa all'altra, da una pietra all'altra. Jvonne si aggira nello studio dove i muri paiono ricoperti di mappe di territori da riscoprire mentre i dipinti, foglietti di un calendario senza numeri e nomi, formano una galleria che si fa racconto di vita. Silenzio e solitudine, elementi che regolano lo svolgimento di ambiti creativi, tavole pittoriche che denunciano un'immaginazione libera da accordi tecnici e formali. Racconto di una vita, dicevamo, una scrittura spontanea che si fa riflesso di un sentimento lieve come quello che la pittrice manifesta nel trascrivere sulla tela un angolo di paese, oppure nel delineare oggetti della propria ferialità, ossìa nature morte, fiori, portici, e tanti paesaggi, visioni catturate mentre la memoria si trasforma in sogno, angoli di sempre che si adattano agli umori delle stagioni, colori che vivono i trapassi di una realtà che non smette di trasmettere impressioni. Jvonne sembra aver stabilito un rapporto speciale con una realtà permeata di suggestioni, sicché la vita, tra pensieri e colori, appare come un'incredibile messinscena. Quello che la circonda, quello che vede affacciandosi alla finestra, fa parte di un repertorio che è come una seconda pelle, come la naturale esecuzione di un trascorrere che non finisce di meravigliarla, è ciò che si può definire il miracolo di un esistere che essa registra con candido abbandono, con lo spirito di chi fa della pittura non un calcolo, ma uno spontaneo quanto stupito esercizio.

Le Selve, un borgo che nella pittura si trasforma in un teatro di colori. Jvonne stenta a lasciare questo villaggio dove tutto pare svolgersi secondo dettami che, in definitiva, sono riflesso del suo agire e del suo pensare. Tra le abitazioni, lungo le strade, la pittrice racconta se stessa rendendo attuale il sapore dei ricordi. Qui, scorrendo la filigrana degli anni, non è difficile attualizzare la nostalgia, come avviene quando si vuol far rivivere certi momenti. Il taccuino della memoria è denso di fatti e di figure, di qualcosa appartenente a un mondo che nella pittura riaffiora assieme alla polvere smossa dal pennello. Tenendosi a distanza da ogni dettato autoritario, Jvonne ripassa il proprio tempo seguendo i consigli di ciò che le è prossimo da sempre, accarezza, con toni lievi, l'ombra della nostalgia mantenendosi fedele a una realtà che, in fondo, è per lei la vera via d'accesso al sogno. Nel suo dettato appaiono immagini realizzate con una sensibilità di sapore onirico fiabesco, soprattutto quando reinterpreta vecchi angoli per trasferirli in interni abitati dall'utopia. Indugiando tra cose che ammanta di ricordi concede al fantastico un ruolo di primo piano; del resto, sembra chiedersi, che cosa c'è di più concreto di un effetto modellato dall'immaginazione? Lascia allora che i pensieri accarezzino la sua realtà, lo fa al di fuori di ingiunzioni tecnico-formali, pensa e prende appunti per poi ricostruire con tocchi immaginativi l'identità di un mondo che nel ricordo si fa, appunto, nostalgia. In questo modo le pennellate richiamano alla mente frammenti di tempo vissuto che i sensi trasformano in storie frequentate da personaggi che forse non ha mai conosciuto, in colori soffusi con la complicità di elementi naturali, con ombre catturate durante un crepuscolo, con lampi rilevati durante un tramonto vissuto ai margini delle valli. Dipingere, per lei, è una dolce dipendenza, un modo di dichiararsi presente tra le cose, per tratteggiare le proprie suggestioni tra gli umori calcinati di un borgo arroccato tra sogno e nostalgia.

Franco Basile

 

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